CULTURA ED ARTE NELL’EVENTO AUTO STORICHE “RAID DELL’ETNA”

 

Il Giro varca lo Stretto di Messina, al rientro Taormina e cronoscalata sull’Etna

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IL RAID DELL’ETNA 2019 SBARCA IN CALABRIA, POI TAPPA STORICA A PERGUSA E GRAN FINALE A CATANIA

Dopo l’arrivo a Reggio, tra arte e sfilata sul lungomare, le 77 vetture d’epoca verso il traguardo: equipaggi italiani in testa

 

Per la prima volta nei suoi 22 anni di storia il Raid dell’Etna 2019 ha toccato la Calabria per la terza tappa che oggi  ha visto le 77 vetture d’epoca partecipanti all’evento sportivo internazionale raggiungere Reggio, accolte dal caloroso pubblico che ha potuto ammirare la suggestiva sfilata sul lungomare. Una novità assoluta per il Giro delle auto storiche che ieri hanno attraversato lo Stretto tra Scilla e Cariddi a bordo di un esclusivo traghetto, approdando a Villa San Giovanni.
Nella mattinata i partecipanti alla gara – che quest’anno vanta equipaggi provenienti da 11 Paesi in tutto il mondo – hanno anche visitato una delle bellezze indiscusse del patrimonio artistico italiano: i “Bronzi di Riace” custoditi al Museo Archeologico di Reggio e, nel pomeriggio, l’antichissimo borgo marinaro di Scilla e il Castello di Ruffo. Due perle fra le scoperte turistiche e culturali che il Raid dell’Etna riserva ai suoi iscritti, fedele alla vocazione dell’evento che coniuga competizione, cultura e arte in una settimana di vacanza sportiva dove la passione per il motorismo d’epoca diventa fulcro di esperienze di bellezza a 360 gradi.

 

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Sul fronte agonistico, a metà del percorso le 77 vetture si danno oggi battaglia nella prova cronometrata di Pentimele, dopo la terza giornata che ha visto alla ribalta i due equipaggi giapponesi nella tappa del Messinese (primo classificato Yokota-Oki su Lancia Aprilia del Japan Club con 47 penalità, al secondo posto Berselli-Martelli su Alfa Romeo Giulia Spider con 49 penalità, seguiti dai giapponesi Aitaka-Hiromi su Fiat 1100/103 Tv del ’55 con 59 penalità). In testa alla classifica generale, nonostante il quarto posto di ieri, rimane al momento saldo l’equipaggio italiano Grillo-Zari del S.C.R.T. Lugano Club a bordo della Porsche 911 Sc 2.7 (292 penalità), a seguire Ticchioni-Valentini su Alfa Romeo Giulia Gt (323 penalità) e terzi Berselli-Martelli (426).

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Dopo la tappa odierna in terra calabra, giovedì (3 ottobre) il Raid farà rientro in Sicilia arrivando nell’affascinate Taormina, dove le auto sfileranno in centro storico. A seguire la prova della cronoscalata sull’Etna fino alla cima del vulcano.
Venerdì (4 ottobre) il giro correrà per la sua quinta tappa alla volta dell’Ennese, dove, nello storico autodromo di Pergusa circondato dalla cornice della Riserva Naturale del Lago, le auto disputeranno due serie di prove cronometrate che definiranno la classifica finale. In serata la partenza per Catania per il gran finale del Raid, sabato 5 ottobre: appuntamento alle ore 10 in Piazza Università per la Coppa delle Dame – gara riservata agli equipaggi femminili – poi alle 12 a Palazzo Platamone, dove si terrà la premiazione finale e l’assegnazione dei trofei e dei premi messi in palio dai partner della manifestazione.

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Conte non stringa la mano al principe Mohammad bin Salman, “l’assassino-del giornalista Khashoggi”

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di  R.Lanza

Quando si uccide un giornalista viene una fitta al cuore. Si pensa subito che un giorno, se si pubblicano verità scomode potrà capitare anche a Te.Ma il fatto più grave è il silenzio misto al terrore che si vuole imporre per impedire la pubblicazione di articoli e servizi.

Vi  sono delitti di giornalisti che sembrano passare inosservati: ricorderemo il Messico dove sono stati uccisi 47 giornalisti, 4 scomparsi e un totale di 2.502 aggrediti nel corso del loro mandato.

«Hanno tolto loro la parola e la voce. I fogli sono rimasti in bianco e il rumore è diventato silenzio».

La violenza e le intimidazioni possono mettere a tacere chi cerca la verità, generando paura e autocensura. Mettere in silenzio un giornalista e chiudergli la bocca equivale a non fargli fare il proprio mestiere, significa negare il diritto di tutti al sapere e alla verità.

I  continui attacchi alla libertà di espressione hanno tolto la parola a centinaia di giornalisti. Molti hanno iniziato a firmare in “anonimo”, hanno rinunciato ai loro nomi per continuare a fare informazione. Alcuni media, invece, hanno smesso di raccontare cosa accade.

In alcuni Stati, come a Tamaulipas, nella parte nord-orientale del Messico, il silenzio è diventato uno stile di vita per i giornalisti.

Veracruz resta invece lo Stato più pericoloso al mondo per fare giornalismo: la maggior parte dei cronisti hanno dovuto andare via per salvaguardare la propria vita.  Altri delitti sollevano clamore perchè ad ordinarne l’uccisione si pensa sia proprio il detentore del potere assoluto o il suo ambito. Ci riferiamo alla vicenda del giornalista Khashoggi

La scomparsa/uccisione del giornalista Jamal Khashoggi del ‘Washington Post      ricorre oggi due Ottobre.   Giornalista tra le voci più critiche della monarchia saudita e in particolare dell’erede al trono Mohammad bin Salman..(nella foto d’Archivio sopra a sn).quasi certamente ,secondo gli Stati Uniti, il probabile mandante dell’assassinio del coraggioso giornalista.
Le autorità turche denunciarono che Khashoggi era stato ucciso e fatto a pezzi da un commando di 15 sauditi partito appositamente da Riad a bordo di due jet privati. In un primo momento il governo saudita negò ogni responsabilità e di essere a conoscenza delle sorti del giornalista, ma poi ammise che Khashoggi era stato ucciso in un’operazione “non autorizzata”.

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L’omicidio scatenò la condanna della comunità internazionale.   Adesso il ricordo e la notizia di quel tremendo fatto di sangue per far tacere le verità scomode riappare in tutta la sua impunità del potere. Su forte impulso turco le Nazioni Unite aprirono un’inchiesta con alla guida la relatrice speciale sulle esecuzioni extragiudiziarie, sommarie o arbitrarie, Agnes Callamard. L’inchiesta, osteggiata dai sauditi, stabilì che il giornalista era stato vittima di un'”esecuzione premeditata”, sostenendo che c’erano prove “sufficienti” e “credibili” che collegavano Mbs – l’acronimo con il quale il principe della corona è noto in Occidente – all’omicidio. L’uccisione di Khashoggi resta una ferita aperta. “E’ un dolore che cambia forma con me”, ha raccontato Hatice, che ha promesso di mantenere viva la sua memoria e oggi sarà ad Istanbul davanti al consolato per una commemorazioneIl suo corpo non è stato mai ritrovato e non c’è ancora un colpevole.

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 Tanti giornalisti uccisi nel mondo, messi in silenzio per negare il diritto di tutti  al sapere e alla verità
 “Un piccolo passo avanti è stato fatto di recente da Mbs nel corso di interviste ai media statunitensi. Per la prima volta l’erede al trono – si è assunto la piena responsabilità del l’omicidio  “dal momento che sono tra i leader dell’Arabia Saudita ed è stato commesso da individui che lavoravano per il governo saudita”. Ma il principe ha negato di aver ordinato l’omicidio di Khashoggi. Mbs considerava il giornalista, nato nel 1958 a Medina e un tempo vicino alla famiglia reale prima di andare in auto-esilio negli Usa, una voce sgradita che danneggiava la sua immagine di riformista all’estero. Il ‘New York Times’ scrisse che nel 2017 il principe, rivolgendosi a uno dei suoi consiglieri, disse che avrebbe usato una “pallottola” contro Khashoggi se non fosse tornato in Arabia Saudita e fermato le critiche al governo. Alcuni media statunitensi riferirono che, dopo l’omicidio, Mbs definì il giornalista un “pericoloso islamista” nel corso di una telefonata con il genero di Trump, Jared Kushner, e con l’ex consigliere del presidente, John Bolton.

Khashoggi, un tempo consigliere per i media dell’ex capo dell’intelligence ed ex ambasciatore negli Stati Uniti, il principe Turki bin Faisal, era diventato molto scomodo da quando iniziò a criticare le autorità del suo Paese per la condizione delle donne e la censura imposta alla stampa. Denunciava  le politiche di Mbs e in particolare la  decisione di intervenire in Yemen. Criticò vibratamente gli arresti di alcuni intellettuali affermando  che la situazione in Arabia Saudita “ora è insostenibile”.

La reazione di Riad al suo omicidio, di cui sono stati pubblicati particolari agghiaccianti, è stata controversa.Si susseguirono “tante verità”.Lo stesso Mbs, pochi giorni dopo la sua scomparsa, dichiarò che il giornalista aveva lasciato il consolato “pochi minuti o un’ora dopo” essere entrato. Il 20 ottobre il procuratore generale del regno del Golfo dichiarò che Khashoggi era stato ucciso in una zuffa e che 18 sauditi erano stati arrestati, mentre cinque giorni dopo sostenne che l’omicidio era stato “premeditato”. A novembre, il suo vice, Shaalan al-Shaalan, disse che Khashoggi era stato ucciso dopo che erano falliti i negoziati per il suo ritorno in patria, aggiungendo che Khashoggi morì per un’iniezione letale e che il suo corpo venne smembrato e portato via dal consolato.

Si apprende anche che oggi 11 persone sono a processo per l’omicidio e la Procura ha chiesto la pena di morte per cinque imputati. Tra loro un medico forense, Salah al-Tubaigy, e una delle guardie del corpo di Mbs, Maher Abdulaziz Mutreb. Ma il procedimento si sta svolgendo a porte chiuse e i pochi diplomatici che hanno assistito alle udienze hanno mantenuto un rigido silenzio ” 

CONTE, NON STRINGA LA MANO AL PRINCIPE MOHAMMAD BIN SALMAN

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Fin qui le notizie d’Agenzia.  Noi aggiungiamo che il feroce assassinio richiede anche una presa di posizione politica sia da parte dell’Italia che dai Paesi della Comunità europea: il principe Mohammad .bin Salman non può affiancare negli incontri internazionali il nostro Premier Giuseppe Conte o i ministri italiani e posare per la foto ricordo. Secondo la Cia e per motivi logistici viste le vibrate critiche del giornalista fatto a pezzi,  Mohammad  è l’assassino dello scrittore, impunito perchè  detiene il potere nel suo Paese dove non si sa cosa voglia dire la parola “verità”, deve essere assolutamente isolato.  I personaggi del processo sono secondari rispetto alla figura dominante e di primo piano politico del principe “mandante del delitto”.

Ad un probabile assassino, detentore del potere assoluto ,ci rivolgiamo al nostro Presidente Giuseppe Conte che riesce a comprendere i confini del bene e del male,  non si stringe la mano neppure per convenienza diplomatica e politica.  Gli assassini devono essere lasciati soli  a specchiarsi con la loro coscienza.

Condannato Vito Nicastri, finanziatore, secondo i magistrati,del “Capo dei capi” Matteo Messina Denaro

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PALERMO

L’imprenditore Vito Nicastri considerato il ‘re’ dell’eolico, è stato condannato dalla Procura di Palermo. L’accusa era  di concorso esterno in associazione mafiosa. Condannato a nove anni anche il fratello Roberto Nicastri. Il pm Paolo Guido aveva chiesto per Nicastri la pena a 12 anni di carcere.La vicenda aveva sollevato un pò di clamore per i riflessi sulla politica governativa nazionale L’imprenditore è socio d’affari infatti dell’ex deputato Franco Paolo Arata, indagato nell’inchiesta che vede coinvolto anche l’ex sottosegretario Armando Siri.

Il procedimento era stato avviato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che indagò su  Nicastri in un secondo procedimento in cui era coinvolto anche Arata, accusato di trasferimento fraudolento di beni con l’aggravante del metodo mafioso. I pm ritengono che Nicastri sia uno dei finanziatori del boss latitante Matteo Messina Denaro (nella foto d’Archivio in alto a sn).

Secondo le indagini della Direzione investigativa antimafia “sono stati acquisiti elementi di prova circa l’esistenza di un reticolo di società, tutte operanti nel mercato delle energie rinnovabili, facenti capo solo formalmente alla famiglia Arata (oltre a Paolo, anche al figlio Francesco ed alla moglie Alessandra Rollino), ma di fatto partecipate occultamente da Vito Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali, considerato dal medesimo Paolo Arata “la persona più brava dell’Eolico in Italia”.