Riccardo Arena, presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, consegna il premio a Salvo Barbagallo
Riportiamo una conversazione curata dal giornalista Marco Di Salvo con il giornalista Salvo Barbagallo noto per la libertà rappresentata al quotidiano “Espresso Sera” e che lo stesso concedeva ai giornalisti collaboratori. Oggi è il direttore “autonomo” (precisa Barbagallo) della testata “La Voce dell’ Isola “dalla quale l’intervista viene estrapolata- e la redazione ringrazia – in via eccezionale.
A Santa Croce Camerina il presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Riccardo Arena,ha consegnato al direttore del nostro giornale, Salvo Barbagallo, una medaglia quale riconoscimento per i suoi 50 anni d’attività professionale.
Salvo, che significato ha per te questo riconoscimento? “…Non so, sinceramente. Non ho mai amato le cerimonie ufficiali, e quindi non amo cercare significati particolari nei riconoscimenti “formali”, preferisco considerarli semplicemente una presa d’atto del mio mezzo secolo d’iscrizione all’Albo professionale”.
Cominciamo anche questa chiacchierata su un evento così gioioso con una polemica? “Assolutamente no. Questo riconoscimento, come quelli dati ad altri colleghi, mi è stato consegnato a margine di una iniziativa interessante promossa dal Consiglio dell’Ordine di Sicilia a Santa Croce Camerina, un Corso di formazione professionale, svoltosi per inciso nel luogo in cui è stato ucciso il piccolo Loris, e un convegno per riflettere sul mancato rispetto delle norme deontologiche. La presenza del presidente nazionale dell’Ordine, Enzo Iacopino, è stata un contributo importante alle riflessioni svolte in questi consessi sul modo di operare di un giornalista, sul modo di porsi di una categoria che ha la responsabilità dell’informazione e che, purtroppo in molti casi, segue vie che con la professionalità del giornalista poco hanno a che vedere”.
Già, i tanto criticati corsi di formazione continua per i giornalisti. Forniscono utili insegnamenti, secondo te? “Possono farlo, ma solo se collegati strettamente alla realtà professionale e a fornire ai colleghi in attività strumenti nuovi per operare al meglio delle condizioni date. Non lo sono quando si trasformano in palestre accademiche, come purtroppo spesso accade”.
Ma che vuol dire, per te, aver compiuto 50 anni di giornalismo? “I miei 50 anni sono riferiti all’iscrizione all’Albo (quelli ufficiali, insomma), e nel riconoscimento non sono considerati gli anni di attività svolti che hanno consentito – con ritardo – l’iscrizione stessa. Per pensare a come sono stati e a come li ho vissuti mi permetto di dire questo: se oggi un giovane fatica (e molto) per potersi inserire nel mondo del giornalismo, oltre 50 anni addietro sicuramente la situazione era ancora più pesante. Potevi entrare soltanto se avevi le spinte giuste, in caso contrario dovevi aspettare che si aprisse lo spiraglio per intrufolarti in un ambiente che, comunque, poteva presentarsi ostile, una volta che ti ci trovavi dentro, per la diversa provenienza dei soggetti”.
E com’è stato ributtarsi per un giorno in mezzo a tanti tuoi colleghi, come è successo a Santa Croce Camerina: brutta esperienza? “Assolutamente no: ho avuto modo d’incontrare colleghi che avevo perduto di vista, come Franco Nicastro, Concetto Mannisi, Luigi Ronsisvalle, alcuni ex giovani (come Felice Cavallaro) che ho avuto come collaboratori in Espresso Sera. Ho avuto modo di conoscere l’attuale presidente dell’Ordine di Sicilia, Riccardo Arena, la cui relazione sul deprimente stato della stampa in Sicilia mi ha molto intristito. Ho anche ascoltato parole pesanti nei confronti dell’editore-direttore del quotidiano La Sicilia, dove ho lavorato…”.
Si, è vero. Sul patron de La Sicilia non sono mancate le critiche, nonostante si fosse in periodo di anniversari ufficiali. Tu cosa ne pensi? “Che vuoi che ti dica? Quando ero alla Sicilia mi ritrovavo spesso in contrapposizione con i colleghi che si esprimevano contro il loro direttore e contro la linea del giornale. Dicevo loro: Il giornale è suo, se a voi non sta bene, cambiate giornale, nessuno vi obbliga a restare. Se un fascista lavora all’Unità, o accetta la linea, o se ne va. Lo stesso se un comunista lavora al Secolo d’Italia. L’importante è, anche qualora ci si dovesse trovare in un contesto lavorativo distante dalle proprie idee, fare il proprio lavoro con onestà e senza subire imposizioni o pressioni di sorta…”.
Mai capitato? Qual è la tua esperienza a riguardo? “Come dicevo prima, è importante tornare a casa dopo una giornata di lavoro senza dover aver vergogna di quello che si è fatto. Per quanto mi riguarda, più che di pressioni posso raccontare le condizioni diciamo “particolari”, in cui mi sono trovato a lavorare.”
Prego, fai pure. “Premessa: prima di andare alla Sicilia ho lavorato per diversi anni all’Espresso Sera, testata che i più giovani non ricorderanno e che era appartenente allo stesso gruppo editoriale. Da capo cronista, facenti funzioni di vice direttore, non ho mai – dicasi mai – avuto pressioni. Espresso Sera era un quotidiano libero, talmente libero che nel 1993 l’editore lo chiuse. In quell’occasione non venne licenziato nessuno, tutti i dipendenti furono trasferiti a La Sicilia…”.
Dove hai ottenuto lo stesso incarico… “No, di certo…”
E come mai? “Sono cose ormai sepolte, anche perché un po’ fa male ritirarle fuori…Per due anni, pur ricevendo la stessa busta-paga di caposervizio, non ho avuto una mia scrivania, ma mi hanno fatto deambulare per tutta la redazione facendomi occupare il posto di chi era assente, alle dipendenze (con tutto il rispetto verso loro) di chi ancora non era professionista…”
Insomma il dorato mondo del giornalismo come un’azienda qualsiasi avvezza al mobbing, vuoi dire. E il sindacato? “Il sindacato non ha mai avuto la forza (o la volontà, non sto a giudicare) di muovere un dito…”.
E allora, tu cosa hai fatto? “Forse fui il primo giornalista (a proposito di quelli che stavano a lamentarsi di cui parlavo prima) che ha fatto causa all’editore. Ma nonostante il parere a me favorevole da parte del giudice del lavoro, con conseguente reintegro come caposervizio, le cose sono continuate nello stesso modo sino a una seconda vertenza, anche quella conclusasi positivamente per me…”.
E a quel punto? “Dopo tante amarezze, ho preferito chiudere con La Sicilia, andando in pensione e quindi continuare autonomamente… Perché il giornalismo è come una malattia, difficile da estirpare. Così poco dopo è nata La Voce dell’Isola, un giornale prima cartaceo, oggi on line. Un giornale che può veramente considerarsi libero. Che senza padroni, alla fine, ci si diverte anche di più ”.
Per concludere: cosa significa avere oltre cinquant’anni di attività professionale sulle spalle? “Se guardo indietro, cosa che mi piace davvero poco e a cui non sono avvezzo, mi rendo conto di essere stato ed essere un testimone scomodo di tempi che si vorrebbero dimenticare. Ma che non si possono dimenticare. Perché sono le radici dei mali di oggi. E se non estirpati, probabilmente, di domani…”